Con Paesaggi Umani di Roma Plurale, il progetto di Urban Experience per Roma Capitale, si sono esplorate geografie urbane da cui trarre storie da pubblicare su una mappa parlante.
I paesaggi umani sono quelle tracce di memoria stratificate nei luoghi, a tal punto da contribuire spesso all’insorgenza di un genius loci, ciò che trasmette il senso di un territorio.
Per dare sviluppo alla staffetta intergenerazionale nelle settimane scorse, con le ragazze dell’ Istituto Superiore Piaget Diaz, si è andati in walkabout trattando dei bombardamenti del 1943. Da Piazza Ragusa, dove una bomba entrò in un palazzo senza esplodere, si è passati per Via Taranto, presso la prima pietra d’inciampo allestita a Roma – per ricordare un internato militare, il colonnello Eugenio Paladini (un dramma vastissimo questo degli Internati che coinvolse quasi 650.000 militari e di cui s’è trattato troppo poco) – per poi attraversare un grande condominio dove erano attivi ricoveri antiaerei e dove campeggia una lapide che ricorda vittime alle Fosse Ardeatine e infine arrivare a Villa Fiorelli alle bocche d’aria del rifugio antiaereo dimenticato.
Nel concetto stesso di Roma Plurale c’è la chiave per interpretare la molteplicità identitaria di una città così stratificata nei secoli, orientandosi verso le periferie a sud-est e anche verso luoghi d’internamento come l’ex Manicomio al S. Maria della Pietà e la Casa Circondariale di Rebibbia. E’ qui nel carcere di Rebibbia che si è posto l’interrogativo su come si possa esplorare un “paesaggio sospeso”, come quello di una prigione. Un luogo privato della realtà, in uno spazio-tempo bloccato da principi etero-diretti, dettati da altri, negando la libertà individuale.
Un’idea era quella di camminare in un percorso circoscritto (come fanno i monaci negli antichi chiostri) ma questo presupposto è stato negato e così il workshop su “Lo sguardo partecipato” si è svolto nella biblioteca, un luogo ad alta densità immaginaria che può paradossalmente rivelarsi come un dispositivo per “viaggiare” anche in una stanza.
Come in un gioco si va così, con spirito psicogeografico, alla ricerca di indizi, a partire dai titoli dei libri che molti dei partecipanti estraggono dagli scaffali, alcuni sono rivelatori: Free, Fuga senza fine, Il giorno del giudizio, Pinocchio, un atlante geografico.
Su una parete c’è un quadro con una rosa e così sovviene l’espressione latina sub rosa: indica ciò che è stato detto in segreto. Un valore singolare in quel contesto in cui uno dei sinonimi di prigione è “segreta”.
Sono solo dei lampi, casuali ma combinatori e capaci di creare senso anche dove non è previsto,
È ciò che sta alla base dell’ethos di Urban Experience: quando si cammina insieme si condividono non solo percorsi ma pensieri che vi si associano, scaturiti da sguardi diversi che rivelano come la realtà possa diventare come un prisma secondo la molteplicità dello “sguardo partecipato”.
Quando si è capito questo s’è scoperto che metodo in greco antico (meta-hodos) significa mettersi in cammino per raggiungere un obiettivo.
Urban Experience usa metodi come i walkabout (una pratica adottata dagli aborigeni australiani, il popolo più antico della Terra) per fare dei cammini ovunque, adottando l’”apprendimento dappertutto”, anche intorno ad un tavolo nella biblioteca di un carcere che a un certo punto diventa “palestra di empatia”.
Il mondo non è solo fuori di noi, è anche dentro. È sia nell’impronta filogenetica che nelle storie che abbiamo vissuto ma ancor più il mondo è nel modo attraverso cui lo osserviamo. È ciò che riguarda la percezione, ricordandosi, sempre, che viene prima della realtà (anche quando pensiamo che ci venga sottratta).
Domenica 21 dicembre alle 15,30 il progetto si conclude con un walkabout da Necci (Via Fanfulla da Lodi 68) per girare al Pigneto riflettendo sulla connessione fatale con il destino di Pasolini a cinquant’anni dal suo omicidio. Si farà campo base da Necci (scenderà in un’archetipica katabasi nel suo ipogeo) per poi muoverci in walkabout per il Solstizio d’Inverno, ascoltando brani del film Accattone e con l’architetto Stefano Panunzi ci interrogheremo sulle profezie pasoliniane. Si raggiungerà la Torretta di Piazza Copernico (vedi foto), salendo le strette scale in una anabasi per traguardare l’orizzonte a ovest, verso il mare, verso l’idroscalo di Ostia, al tramonto. Ci si collegherà con Er Lem (Gruppo Subword), ascoltando poi l’Urlo di Pasolini. “Qualunque cosa questo mio urlo voglia significare, esso è destinato a durare oltre ogni possibile fine” Ecco cosa afferma Pier Paolo Pasolini nell’urlo tratto da Teorema. È inevitabile, come un solstizio. Da Piazza Copernico il tramonto del solstizio d’inverno è perfettamente in asse con via di Villa Serventi, ma proseguendo quell’allineamento oltre l’acquedotto Felice si arriva al monumento di Pasolini all’Idroscalo di Ostia dove fu ritrovato il suo corpo. E ci risuona questa frase rilasciata, il giorno prima di morire, a Furio Colombo che lo intervistava per il Corriere della Sera: “Pretendo che tu ti guardi intorno e ti accorga della tragedia. Qual’è la tragedia? La tragedia è che non ci sono più esseri umani, ci sono strane macchine che sbattono l’una contro l’altra”
