La memoria dell’avanguardia: anticorpi per elaborare la mutazione in atto

La memoria è carsica, sprofonda all’improvviso e poi riemerge. Ancor più all’improvviso. Ci piace associarla a questo moto naturale delle cose. E’ il motivo per cui ci riguarda, più della Storia.  Se pensiamo poi alla Storia del Teatro è emblematico questo paradosso: gran parte degli studiosi tratta di esperienze di cui hanno spesso solo letto sui libri, o sui giornali e oggi nel web. Ma è proprio a partire da questo dato che l’attività dei critici militanti, alfieri della postavanguardia, è decisiva per avviare una staffetta delle conoscenze e delle competenze (a partire da quella degli storici nel saper gestire le più diverse risorse documentali).lacittapaginone-3-11-16

Nel merito, pensando a ciò che stiamo avviando con l’Archivio Beppe Bartolucci (“La stanza di Beppe”) ci stiamo rendendo conto di come stia risorgendo questa vena carsica della Memoria dell’Avanguardia(segui il link per seguire l’ipertesto realizzato nel 1995, uno dei primi in Italia), utile non solo per tracciare un percorso storico bensì perché può rilasciare anticorpi (l’avanguardia ha espresso una valenza omeopatica alla complessità del mondo che cambia in velocità) per elaborare la mutazione in atto. Sì, le vie dell’avanguardia hanno aperto le autostrade dell’innovazione. Ne abbiamo le prove.

Nel contesto: è con i “Colloqui di Salerno” che si riprende quel filo sospeso, grazie a Francesco Forte (e ad un assist di Luciana Libero, vedi il suo articolo su La Città, stessa testata in cui lo stesso giorno esce il paginone qui sopra). La memoria e lo sguardo di Beppe Bartolucci è il titolo di questo appuntamento (molto partecipato dai protagonisti di quelle stagioni e con molte  adesioni istituzionali, come quelle della Fondazione Donnaregina)  dove con Gaia Bartolucci e Alessandro Avaltroni, sindaco di Fratte Rosa (il comune marchigiano dove avrà luogo la Stanza di Beppe per omaggiare il suo concittadino), interviene (oltre a Forte che introduce, presentando il suo filone di ricerca su “Bartolucci prima di Bartolucci”), lo scrittore (già critico teatrale) Rino Mele e Silvio Perrella, scrittore e critico letterario che affonda con la migliore competenza l’analisi sulla scrittura, leggendo a tratti un testo.parlaforte

Ok, d’accordo: s’è scoperta una vena letteraria di Bartolucci ma il focus che c’interessa è nel suo spirito di “rabmonante”: di critico pioniere della nuove frontiere della performance. E nell’intervento che segue (ripescato da un testo di qualche anno fa), in contrappasso ad alcune affermazioni “troppo letterarie”, rivendichiamo la radicalità della postavanguardia nel rompere gli schemi lineari della narrazione. E’ da questo punto che parte, per noi, il processo di elaborazione della memoria di Bartolucci per orientarla, come metodo, verso gli scenari del cambiamento (si sta ipotizzando una “piccola scuola dello sguardo” da avviare nel piccolo borgo marchigiano), mantenendo saldo il rapporto con la realtà salernitana (epicentro della postavanguardia idealizzata da Bartolucci) sul fronte “scritture e pensiero critico”.

Giuseppe Bartolucci: il respiro pieno della visionarietà
Lo sguardo si fa visione nello spettatore che fa della propria pratica dell’occhio e della mente un’”arte” che va oltre l’interpretazione. Questo ci ha insegnato Giuseppe Bartolucci, maestro di una critica teatrale tesa a superare le misure del giudizio per affermare una strategia complessa di “nuova sensibilità”. La scomparsa di Bartolucci mi pose di fronte ad un evidenza: non esisteva più una figura in grado di coniugare sguardo e visione di teatro a quel livello di complessità. Il suo lavoro è stato fondamentale perché fu in grado di integrare spettacolarità e dibattito ideologico.
Gli anni in cui Bartolucci raggiunse i livelli più alti di progettualità furono quelli che tra i Sessanta e gli Ottanta, anni che hanno visto l’Italia come epicentro di una conflittualità politico-ideologica che marcò ogni atto della vita pubblica, non ultimo il teatro. Dopo il Movimento del ’77, ad esempio, la sua iniziativa sostenuta dall’assessore Nicolini riuscì a coinvolgere molte delle energie alla deriva post-politica offrendo loro opportunità per rilanciare le tensioni di un “situazionismo” teatrale eversivo nella ricerca di nuovi linguaggi e comportamenti capaci di esprimere la contemporaneità metropolitana.
La postavanguardia con la sua cifra “patologico-esistenziale” rappresentò infatti il malessere schizoide di una generazione sconfitta ma lucida nell’interpretare una mutazione culturale che già allora si andava delineando. Bartolucci non era quindi solo un critico teatrale ma un autore di contesti culturali, ecosistemi in cui nascevano e crescevano intellettuali e autori di una teatralità votata alla radicalità, allo spostamento progressivo del senso. Erano gli ultimi colpi di coda di un’avanguardia che aveva colto l’energia implosa del ‘77 e in particolare della sua ala creativa, quella neo-dada e situazionista, ponendola su un piano di spettacolarità metropolitana che seppe prendersi le città (Roma, Salerno e Napoli in particolare). Fu l’ultima avanguardia, vitale e nichilista al contempo.

(Carlo Infante, febbraio 2006)

 

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