Apre La Stanza di Beppe: un archivio e un osservatorio sui Paesaggi nel Cambiamento

Entriamo nella Stanza di Beppe ascoltando, in radiocuffia, la colonna sonora di “Crollo Nervoso” dei Magazzini Criminali. crollo-nervosoUna sonorità drastica, propria di quella sensibilità patologico-esistenziale che quel gruppo guida della postavanguardia esprimeva al miglior grado, aprendo gli anni 80. Si iniziava, allora, a  parlare di postmoderno e Beppe Bartolucci da illuminato critico teatrale militante ne aveva già anticipato lo spirito. Il mondo stava cambiando, non era ancora arrivata la rivoluzione digitale ma quelle atmosfere performative ne anticipavano l’andamento accellerato. Beppe era un “rabdomante”, trovava segnali di mutamento, li decodificava e li rilanciava, interpretando il nervosismo di una generazione sconfitta nei conflitti rivoluzionari. Altri tempi. Erano i colpi di coda di un Novecento in cui le ideologie stavano tramontando e tirava aria di un nichilismo (mixato con un emergente edonismo metropolitano, un cocktail micidiale) a cui la postavanguardia seppe dare forma.

La Stanza di Beppe diviene una “macchina del tempo”, riecheggiando avanguardie passate (quasi un ossimoro) in cui si sono incontrati vari amici, tra cui l’artista-performer Paolo Liberati (che porta un suo bel disegno fantasmatico che ritrae Beppe), Roberto Fociani che per anni è stato il fulcro organizzativo del Premio Opera Prima a Narni (l’ultima grande operazione bartolucciana) e Massimo Puliani, regista e sodale di Bartolucci in progetti come Teatrorizzonti ad Urbino.

Siamo a Fratte Rosa, piccolo comune del pesarese, dove Beppe Bartolucci nacque nel 1923 e che oggi crea l’opportunità di creare un luogo e un ambito di co-progettazione per rilanciarne la memoria. Come avevamo già scritto, in occasione degli Incontri di Salerno, la memoria dell’avanguardia può offrire gli anticorpi per elaborare la mutazione in atto. C’erano allora dei presagi di futuro che hanno permesso di anticipare la grande onda dell’innovazione digitale e adesso ci stiamo interrogando su come riconfigurare la nostra attenzione verso un mondo che deve smettere di correre in una direzione progressiva di generica e omologante “modernizzazione” per cercare di ripristinare il senso naturale delle cose. Magari coniugando interaction design, performing media, teatro e resilienza.

walk22-11E’ con questa consapevolezza, divisa tra la memoria dell’avanguardia rimossa e un futuro che necessita di una nuova creatività sociale, che ci siamo confrontanti nel walkabout che ha percorso il borgo di Fratte Rosa, conversando su come oggi una lezione come come quella di Beppe Bartolucci, maestro dello sguardo, possa essere reinterpretata per cogliere il valore dello sguardo partecipato. Nel mondo della performance oggi ci si sta interrogando su quanto sia importante attivare processi partecipativi , per creare enzimi d’innovazione sociale. In tal senso si sta aprendo una progettualità, condivisa con l‘AMAT, per promuovere attività formative (per l’arte dello spettatore), elaborazioni teoriche e residenze artistiche da affiancare all’attività di un archivio che non sarà solo fondo documentale ma osservatorio. Stiamo pensando ad un titolo: Paesaggi Nel Cambiamento.

Paesaggi perché si pongono come orizzonte per lo sguardo, a partire da quelli collinari, dolci, propri di una Regione come le Marche che sa degradare, morbida, verso il mare. Cambiamento perché è necessario interpretare lo spirito del tempo, misurandoci con le trasformazioni in atto, trovando il giusto ritmo per metterci in gioco, accompagnando le nuove generazioni nel futuro prossimo. Ma è nella preposizione articolata del Nel che si impernia il progetto: ovvero, dentro il cambiamento. Tenendo però ben salda l’attenzione per le peculiarità originarie dei territori, le loro vocazioni perdute, disattese da decenni di sviluppo industriale ormai esaurito. Ci piace pensare che nei prossimi mesi, in vista della primavera, si possa partire con una “piccola scuola dello sguardo” che possa coinvolgere sia performer sia studiosi teatrali sia autori multimediali sia changemaker impegnati nell’innovazione sociale sia protagonisti delle culture materiali nel territorio. E fondamentalmente i bambini e quegli operatori (c’erano con noi delle maestre che operano nella scuola “Montessori” sorta a Fratte Rosa) che vivono l’esperienza dell’apprendimento come un’avventura creativa. Proprio da loro è arrivata l’affermazione chiave su cui si dovrà lavorare: “I paesaggi ci parlano”.